Il lino veniva seminato a maggio nei prati di montagna (masi); il terreno veniva arato, zappato, levigato con il rastrello, preparato con cura e pronto per la semina. Il seme veniva raccolto con la mano dalla "ghedagrembiule. Il seme del lino si metteva nel grembiule e si seminava raccogliendolo con la mano." (grembiule) e sparso sul terreno, (c'è ancora chi ricorda con nostalgia quei campi di lino in fiore color celeste-lilla!!).
Nei primi di settembre il lino era pronto per la raccolta, una volta strappato "cavàtogliere; levare la pianta una per una." ( P.S. nel "cavar" il lino, restava il "par sot", cioè il residuo, il lino più piccolo, più scadentetela meno bella più gropolosa. che veniva anch'esso "cavà" e con la stessa lavorazione del lino buono "bon" diventava una volta tessuto una tela più "andantetela più bella, liscia e morbida" , venivano fatti dei mazzi "faie" messi ad essiccare capovolti e appesi sui poggioli dei fienili; quando le "mazoche la spiga del seme di lino, piena e secca." erano secche le "faiepiccole matassine attorcigliate chiamate POPE. Due di queste si mettevano sulla rocca per poi filare." venivano ritirate e stese su "en linzol de le cordetessuto grezzo con una corda per ogni angolo utilizzato per portare il fieno nel fienile." e con la "mazolapezzo di legno rotondo con un manico (assomiglia al mattarello solo che con un manico solo)." veniva tolto il seme che serviva per l'anno successivo.
Il seme di lino cotto e messo fra due pezzi di tela serviva come medicina "pape de sem de linpappe di seme di lino; il seme del lino si bagna con un pò d’acqua, si scalda nella padella di ferro e si mette in un sacco di stoffa (viene come una pappette omogenea: ottima per curare ascessi, stitichezza; un cucchiaio in mezzo bicchiere d’acqua a mollo per una notte bevuto al mattino serve per il mal di denti e per il mal d’orecchie, si appoggia la pappetta sulla guancia/orecchio)." per gli ascesi, mal di denti e infiammazioni varie. Quando il seme del lino veniva raccolto lo si passava poi nel "vanun grande setaccio in vimini, fatto di forma rotonda con un bordo fatto con un legno alto e metà con un legno più basso la cui base era bucata con dei fori minimi. Veniva usato nei giorni di vento per pulire il lino", un setaccio che "sgorla nei dì de vent" (si muove nei giorni ventosi) così da eliminare le "bulela buccia che copre le spighe del lino." . Tolto il seme, le "faie" venivano distese per file sul prato a macerare per parecchi giorni, finchè, diventava scuro (destender el lin); poi veniva raccolto in piccole "faie" raggruppate a mò di covoni e messi ancora nel prato ad asciugare. Quando il lino era secco al punto giusto, venivano prese dal covone quattro "faie" alla volta e poi "macàbattere sul ceppo di legno." su una "zoca con la mazzolabattuto ben bene finchè diventava morbido" e così via finite tutte le "faie", poi veniva messo di nuovo al sole a seccare.
Era arrivato poi il momento di “gramolarsgrezzare.
Con la “gramola” si schiacciava la “foia” e così rimanevano le “resteresiduo che esce dal lino mentre si gramola.”.
Di solito le donne si alzavano all’alba per “gramolare” con risentimento degli uomini perché facevano baccano.
Finito il lavoro con la “gramola” le “faie” erano già ammorbidite ma le “reste” non erano state eliminate del tutto, quindi si passava alla “spigolaasse con chiodi girati all’in su. Anche questo attrezzo lascia cadere le reste, ultimo residuo prima di filare.” per un ulteriore pulizia, finchè la fibra del lino era liberata del tutto dalle “reste”.
Nella “spigola” restava prima lo scarto chiamato “carpidefibre tessile di lino o canapa che si ottengono dopo la pettinatura.Lo scarto serviva per fare i lenzuoli delle corde, tappeti, grembiuli, sacchi per la ferina, strofinacci per la cucina, piccole tovaglie per la tavola (detti mantili)” e poi le “stoppegambi di lino grossolani, scarti delle fibre di lino e/o canapa per stoffe resistenti.”, e poi lavorando restava la fibra bella pulita del lino che era la parte migliore.
Il primo scarto “carpide” veniva recuperato, messo a parte,filato grossolano serviva poi una volta tessuto, per fare i “linzoi delle cordelenzuola” . Il secondo scarto veniva chiamato “stopa” e veniva passato con il “crivelsetaccio a fori stretti che serviva per eliminare le “reste”” .
Le stoppe venivano poi arrotolate in maniera particolare detta “mome de stope”.
Per filare sia la “carpide” che la “stoppa” c’era un’apposito bastone dalla punta biforcuta (baston de le stope).
Con le “stoppe” si produceva una tela grezza che serviva per fare “canevaze, mantili, etc” (strofinacci, corsie per mobili, etc).
Con la parte migliore del lino, la fibra, si faceva una specie di matassa detta “popa del lin”, queste “popepulito il lino dopo la gramolatura, spigolatura, si arrotolavano su se stessa quasi da sembrare delle bombolette o pic-otte” venivano radunate in mazzi da quaranta (quarantena de faie de lin).
In inverno durante i “filò nella stua intorno al fornel a musat”, le donne prendevano dalla “quarantenafascio di pope di lino o canapa” due “faie” alla volta, le arrotolavano sulla “rocafuso” per poi “filar co la rodafilare con la ruota”.
Finito il lavoro di filatura si procedeva a fare i “fizoi matasse” con il “nasparnese di legno per fare le matasse levando il lino filato da fuscello del arcolaio (filatoio)”.
I “fizoi” venivano messi in un gran recipiente di legno “brenta recipiente in legno a doghe con scarico laterale, chiuso con un bastone su misura”, con sopra un lenzuolo di canapa fatto in casa, grezzo e resistente, detto “colaidoilenzuolo di tela resistente con tela fitta che serviva come filtro per la cenere e si sarebbe poi ottenuta la lisciva.” che serviva come filtro per la cenere.
Nella “brenta” si buttavano tre “lisivoziil residuo dell’acqua e cenere bollita per un’ora e gettata nella brenta”. Era usanza che quando si faceva “nèt fil” si raccoglievano i “fizoi” di due o tre famiglie; per distinguere il loro filo le donne mettevano a tutte le matasse un segno particolare.
Questa operazione di “nèt fillavato con cenere al lavatoio con lisciva” durava quindici giorni, durante i quali le donne si alzavano una volta in settimana anche la notte per rigirare il filo nella “brenta”. Finiti i quindici giorni, i “fizoi” venivano risciacquati e messi ad asciugare.
“El fizol” veniva “despiegà con en corloarnese fatto di legno per disfare le matasse di lino, canapa e lana per poi fare i gomitoli pronti per portare alle donne che avevano il telaio per la tessitura. A Mezzano c’erano 8 telai mentre a imer erano 4.”, cioè le matasse venivano messe su un apposito arnese di legno per poi disfarle e fare dei gomitoli . Finalmente il lino era pronto per la tessitura.
Il lino e la canapa sono protagonisti di due balli del repertorio del Gruppo Folcloristico: Valzer della donna che fila e Mazurka gramola e spigola.