I costumi del Gruppo Folkloristico Mezzano di Primiero, hanno origini antichissime e sono stati indossati abitualmente dagli abitanti del luogo fino al 1960 circa. Il costume odierno del gruppo, infatti, è la riproduzione del vestito da sposa o della festa tipica degli abitanti della valle. Certo i componenti stessi di questi gruppi moderni sono spesso impacciati, sembrano prigionieri i una divisa militare: sono pochissimi quelli disinvolti i quali ci ripresentano i nostri avi " vestiti de le feste" come si diceva quando si indossava il vestito migliore che poteva essere, anzi per molti era senz'altro quello da sposo, usato solo la domenica mattina "par 'andar a mesa cantada".
Non c'è da meravigliarsi quindi se un abito, resistente com'era, durava per una vita intera. Logicamente, come facciamo anche noi tutt'ora, anche i nostri "vecchi", specie quelli poveri o di media condizione, indossavano nei giorni feriali i "vestiti da lavoro"che erano simili a quelli festivi, ma incompleti e meno vistosi: per esempio sopra il gilet la giubba era sostituita da "la plus" fatta di tela russa; il cappello era vecchio e malridotto cioè " en guio o en tecio" e spesso veniva alternato da un berretto cilindrico e basso, aderente al capo, senza alcuna tesa.
Quando ci si recava in Comune o dal Parroco si indossava "el vestì de plao o de bon comando" un abito di disimpegno, tra quello "de le feste e del dì de opera"; così generalmente ci si recava la sera al filò. Le donne non avevano più l'acconciatura dagli aghi luccicanti sulla testa, ma le trecce erano coperte da un "fazolet (fazzoletto) de testa" a fiori e spesso i loro abiti erano dimessi e vecchi, rammendati o rattoppati. Logicamente le scarpe, per chi le aveva almeno per la festa, si trasformavano in "dalmede" oppure in zoccoli.
Il guarda roba consisteva nell'avere "qualcos de meterse intorno, par l'inverno e par l'istà, par el dì de opera e par le feste" (qualcosa da indossare per l'inverno e per l'estate, per il giorno del lavoro e per le feste), tutta qui la varietà, e gli stessi abiti duravano anni e anni: indossare "en vestì nou" (un vestito nuovo) era un avvenimento che portava vera gioia a giovani e vecchi. Era in età giovanile che si cominciava a vestire i tradizionali costumi della valle. Gli appartenenti alle famiglie beni di Fiera, cioè i "veri siori e siorecoli" nonché i funzionari inviati in valle, i notai, etc., praticamente la classe dirigente, facoltosa e privilegiata, non ha mai usato il costume locale che accomunava tutti nello stesso rango. Era per loro questo un segno di distinzione del popolo, che costituiva quasi un diritto di famiglia, come se la loro classe formasse quasi un ordine nobiliare o ecclesiastico; dove sarebbe andata a finire la loro dignità, la loro autorità, se avessero vestito come i contadini?!?!
Questi signori invitati anche da persone facoltose degli altri paesi delle nostre vallate, in genere vestivano alla moda veneta od anche austriaca, a seconda della loro provenienza. La stoffa dei loro abiti non era costituita dal rude panno casalingo del luogo, bensì da "panina" leggera, morbida e di varie tinte.
Fino alla fine dello scorso secolo, e molte donne fino alla prima guerra mondiale, gli appartenenti alle classi media e povera, portavano sempre lo stesso tipo di abiti più o meno completi e confezionati bene; infatti, variando solo qualche particolare, i benestanti avevano ugualmente modo di distinguersi.
Per l'abbigliamento maschile anzi tutto dobbiamo ricordare che il panno, tessuto in casa in telai rudimentali, veniva poi portato al follatoio per la follatura. C'erano numerosi "fol", di proprietà della famiglia Guadagnini. Per dare al panno la consueta tinta marrone-bordò, veniva ordito con "lana canela fina" colorita col muschio detto "barba de sas" e tramata con "lana garofolin" cioè tinta bordò e preparata al "Fol". Per gli abiti festivi o dei benestanti il panno era di tutta lana, mentre per quelli usati nei giorni feriali era di "medelana o medalana" cioè con l'ordito di canapa, più raramente di lino, e solo tramato con lana. Quest'ultimo si usava anche di tinta grigia e si preparava tramando "la lana negra de so' pe'" cioè di colore naturale che non è poi del tutto nero.
Di questa specie era il famoso "stamet", molto simile al fustagno, che veniva tessuto da aziende artigianali locali negli ultimi decenni in cui fu usato.